Note e
colori dal “Sud Italia”: Palermo
Chi
arriva a Palermo con l’aereo forse non riuscirà a cogliere la stessa
impressione che probabilmente ebbero i
primi navigatori Fenici, quando giungendo nell’VIII sec a.C. scorsero quello che a loro doveva
apparire come un lungo promontorio che si allungava verso il mare, racchiuso e
riparato dai venti da una grande rada. Dall’alto, in fase di atterraggio, fanno
impressione le brulle alture che si tuffano a spiovente nel mare; a loro, ai Fenici
che dall’acqua cercavano un approdo sicuro, questa grande baia invece dovette
sembrare molto invitante. E fu così che vi si stabilirono, creando sulla parte
più alta del promontorio il primo insediamento urbano di quella che sarebbe
divenuta Palermo, e ponendo nella zona marina il vero e proprio porto, in cui
avviarono un notevole scambio commerciale con i Sicani-gli abitanti originari
della Sicilia- ed i Greci che già nell’isola erano approdati da alcuni decenni.
Panormos, il nome dato da questi
ultimi alla colonia fenicia, significa tutto
porto, ma essi non dominarono mai la città. Sviluppatasi notevolmente con
il commercio e divenuta una roccaforte punica, durante le guerre tra Cartagine e
Roma fu da questa espugnata, e fino alla fine dell’impero d’Occidente rimase municipium senza ulteriori ingrandimenti. Dopo una breve
parentesi sotto i regni barbarici e l’autorità bizantina, venne conquistata
dagli Arabi nell’831 d.C. e finalmente, sotto questa dominazione, Palermo tornò
ad essere un centro di importanza focale, tanto da venir paragonata dai
cronisti arabi a Cordoba e al Cairo per bellezza, importanza e grandezza. La
parte superiore dell’abitato, la più antica, rinforzata architettonicamente
divenne al Qasr, il cassero, ovvero
il castello, la fortezza araba sorta sulle vestigia delle costruzioni difensive
fenicie e poi romane. Ci siamo dilungati a proposito su alcuni cenni storici,
perché non sarebbe possibile capire ed apprezzare la bellezza e la complessità
di questa metropoli mediterranea senza avere una vaga idea dell’ articolata
evoluzione da essa vissuta. Agli Arabi succedettero i Normanni, e poi la casa
imperiale germanica degli Svevi, gli Angiò francesi, gli Spagnoli che in
seguito insediarono i Borbone, e per ultimi i Savoia con l’unificazione
dell’isola al nuovo regno d’Italia regalata loro da Garibaldi. E dopo, gli
scempi succedutisi tra fine ‘800, con smembramenti di interi quartieri, ed i
terremoti, la seconda guerra ed i suoi bombardamenti, la speculazione edilizia
insensata ed incontrollata del dopoguerra. Ma questa è “solo” storia; a chi
scrive sta a cuore dare qualche impressione di questa città così incredibile,
piena di bellezza e dolore, che solo con
Napoli e Genova riesce a condividere, nella comune condizione di città marinara,
splendori e miserie.
Palermo
è davvero città mediterranea, e racchiude in sé molte influenze . Una tra
tutte, quella islamica, ma le costruzioni e decorazioni presenti in molti
edifici monumentali non derivano direttamente dagli arabi. Il fatto (ed ancora
bisogna appellarsi alla storia per capire quello che fanno gli uomini) è che i
Normanni non cacciarono le maestranze more dopo la conquista della Sicilia, ma
anzi, insieme a quelle bizantine, le utilizzarono per arricchire ed ampliare le
dimore regali e le chiese che fecero realizzare per manifestare la propria
potenza. Bene, vi ricordate di al Qasr, la
fortezza araba? I Normanni la ampliarono e la fortificarono ulteriormente, ed
il risultato che oggi possiamo ammirare è il Palazzo dei Normanni, in cui Ruggero II, incoronato re di Sicilia,
fece realizzare da artisti greco-bizantini ed arabi uno dei gioielli più
splendidi di questa città, la Cappella Palatina.
Quella che era stata pensata come la chiesa personale di re Ruggero è uno degli
spettacoli più impressionanti dell’arte medievale: mosaici a fondo dorato
coprono tutta la superficie interna, rappresentando le storie dell’Antico e del
Nuovo Testamento, più episodi delle vite di Pietro e Paolo, nonché due
raffigurazioni di Cristo onnipotente (in greco, Pantocrator) nella cupola e sul trono del Giudizio. Ma le
meraviglie continuano alzando gli occhi al tetto della navata centrale ed alle
navatelle: vedrete un’incredibile soffitto ligneo a cassettoni a stalattiti (in
arabo, muqarnas) decorati e dipinti
con iscrizioni stilizzate (cufiche,
una particolare calligrafia dell’arabo); è davvero un’impressionante
interpretazione dello spazio della volta, e costituisce il più grande ciclo
pittorico islamico esistente al mondo. La Cappella Palatina è un posto
incredibile, al pari della Cappella Sistina, pur essendo di dimensioni molto
più raccolte: se uno va a Palermo ed ha solo un’ora di tempo, vale la pena che
la spenda per visitare questa meraviglia. Basta spostarsi poco dal Palazzo dei
Normanni, ed eccoci di fronte alla Cattedrale, esempio anch’essa di
trasformazioni continue da basilica, poi moschea, e di nuovo chiesa cristiana
grazie ai Normanni, ed infine stravolta nel suo interno alla fine del ‘700. Lo
stile arabo-normanno si fonde con il tardo gotico ed il neoclassico, ma
l’impressione che comunica questa grande chiesa è di un’isola sospesa nel tempo
e nella città. Tantissime sono le chiese panormite, ed in gran parte di esse si
ritrovano le manifestazioni di quello che è chiamato barocco fiorito
palermitano: una decorazione marmorea policromatica, a motivi floreali e di
grotteschi, unita ad un vero trionfo di statue a stucco. Tra i templi più ornati
da questo stile è la chiesa del Gesù, ma nelle vie del percorso cittadino di
simili colpi d’occhio ne troverete a decine. L’altra grande manifestazione del
tardo barocco che confluisce nel Rococò è racchiusa negli oratori, e qui il
nome di Giacomo Serpotta la fa da padrone. Chi non è stato ancora qua
probabilmente non ne ha mai sentito parlare; ma quando ci si trova al cospetto
della sua opera, ci si rende conto che fu davvero uno bravissimo. Serpotta
lavorava lo stucco unendovi polvere di marmo, e l’effetto visivo delle sue
statue evoca proprio l’impressione marmorea; ma aldilà di questo, le
raffigurazioni di personaggi sacri, di figure allegoriche, di appartenenti ai
vari ceti sociali e di angeli e putti hanno una varietà ed una vitalità che si
fissano negli occhi e nella mente dello spettatore, che proprio da quei personaggi
in stucco viene coinvolto dall’alto nell’azione rappresentata. Piccola
curiosità: spesso il Serpotta aggiungeva alle sue opere una lucertola o un
piccolo serpe; in palermitano serpuzza
( serpetta, serpotta) è proprio il termine con cui si indicano quei rettili, e
quindi, in quel modo, l’artista apponeva la sua firma ai suoi lavori. E’
impossibile in poche righe dare conto di tutte le meraviglie cittadine, anche
perché tra un posto ed un altro si oscilla continuamente tra barocco ed
arabo-normanno. Ma un cenno a due chiese che stanno una di fronte all’altra,
entrambe di origine normanna, non può mancare: S. Maria dell’Ammiraglio e S.
Cataldo. La prima, detta La Martorana, è
rivestita internamente da mosaici bizantini di bellezza comparabile alla Cappella Palatina, mentre S. Cataldo,
con tre cupolette di ispirazione araba, è totalmente spoglia all’interno, ed è
retta dall’Ordine dei Cavalieri del S. Sepolcro; meravigliose entrambe. Infine,
non si può ignorare due capolavori assoluti che sono conservati nella Galleria regionale della Sicilia: il Trionfo della Morte, impressionante
affresco della metà del ‘400 che si trovava in un palazzo nobiliare adibito ad
ospedale, e L’Annunziata, uno dei più
celebri e struggenti dipinti di
Antonello da Messina. Non vi sono parole
adeguate per descriverli: è necessario vederli.
Palermo
è anche vita, caotica, cittadina: assolutamente bisogna tuffarsi nei meandri
dei mercati all’aperto, pieni di odori, colori e voci coloristiche che possono
anche ubriacare chi è ormai abituato all’asetticità di molti supermarket. I
mercati rionali più famosi, Vucciria,
Ballarò e il Capo resistono
nonostante le direttive europee e nazionali su un certo modo di intendere la
compravendita di generi alimentari. Ma è il cosiddetto cibo di strada il pezzo forte –anche per i sapori- dello stare
all’aria aperta in questa città. Pani e
panelle, pani ca meusa, arancine e via dicendo sono i “piatti forti”della
gastronomia povera panormita, il cibo dei faticatori di una volta e di adesso,
che con due lire riesce a offrire il fabbisogno temporaneo prima della cena. Le
panelle sono frittelle di farina di
ceci (un po’ come la farinata genovese),
la meusa è la milza bovina, che viene
bollita e condita con sale, limone e caciocavallo grattugiato e messa nel pane;
le arancine sono dei supplì di riso molto più grandi, condite
all’interno con ragù, ma anche con burro e zafferano; frittissime. Crocchette
di patate, caponata e parmigiana di melanzane, nervetti e bollito fanno da
corollario a quella che, senza ombra di mistero, è una cucina saporosa ma anche
d’impatto, e non solo calorico. E per chi volesse chiudere in bellezza,
fatalmente non potrà che rivolgersi a cassate, cannoli e dolci a pasta di
mandorla; a patto, però, di recarsi poi a
piedi sul Monte Pellegrino a far visita al santuario di Santa Rosalia, patrona
di Palermo, per ottenere la salvezza dell’anima e del proprio giro vita. (15/10/15).
Prof. Giovanni Pandolfo
 |
"La battaglia di Lepanto nell'Oratorio di S. Cita" |
 |
"Barocco fiorito palermitano" |
 |
"Statua di G. Serpotta con "firma" (la lucertola sulla colonna)" |
 |
"Teatro Massimo" |
 |
"Il mercato del Capo" |
 |
"Cappella Palatina" |
 |
"Palazzo dei Normanni" |
 |
"Fontana Pretoria" |
 |
"La chiesa della Martorana" |
Commenti
Posta un commento